by Irina Sorokina
La versione in Italiano del saggio sul compositore italiano Riccardo Drigo
“Noi pensiamo che il balletto classico pietroburghese sia un poema, un mito o
semplicemente una storia dei momenti puri della vita. Ciò è noto a tutti, ma quasi per
tutti rimangono dei momenti, delle fugacità”, così osservò il critico moscovita Vadim Gaevsky (1). L’arte del balletto classico, in cui s’incarna con la massima forza ed evidenza l’idea della bellezza assoluta, della perfezione dell’anima attraverso la perfezione del corpo, ebbe poche sedi dove fiorire ed una sola dove essere coccolata dal potere: San Pietroburgo, la città strana, quasi fantastica con il suo equilibrio fragile tra il sogno e la realtà, piantata in mezzo alle paludi dal genio di Pietro il Grande.
Proprio là, nella seconda metà dell’Ottocento, in un momento difficile per il balletto classico europeo oramai decaduto e trasformato in una féerie sventata, quell’arte fiorì e raggiunse un livello mai visto prima. “Il balletto è un’arte seria nella quale devono dominare la plasticità e la bellezza invece di salti di tutti i generi, di giri spensierati e alzarsi di gambe sopra la testa. Questa non è arte, ma, ripeto ancora una volta, una pagliacciata. È la scuola italiana a rovinare il balletto. Essa corrompe il pubblico distraendolo dai balletti seri e facendolo abituare alle féerie. (…) Considero il balletto pietroburghese il primo nel mondo, perché esso conserva quest’arte seria andata perduta all’estero”,- disse Marius Petipa in un’intervista del 1896, al tramonto della sua lunghissima carriera (2).
Nel 1881 il coreografo italiano Luigi Manzotti allestì al Teatro alla Scala di Milano la féerie Excelsior in cui era rappresentata la lotta della civiltà con l’ignoranza. Se oggi l’assurdità di combinare le idee illuministe con un’arte astratta, portatrice di valori eterni di bellezza e di grazia sembra evidente, allora ci sarebbe voluto del tempo per arrivarci. Anche Petipa non rimase estraneo alle tendenze della moda, per esempio con il balletto-féerie Le Pillole magiche (1886, musica di Ludwig Minkus), che tuttavia nel suo patrimonio artistico risultò solo una stranezza. In Europa il genere del balletto-féerie in seguito si trasformò nel music hall, mentre in Russia conservò le tradizioni accademiche, anzi, le sviluppò. L’uomo e le sue storie rimasero al centro dell’attenzione
dei coreografi. Se in Europa il balletto non veniva più trattato come arte seria, in Russia
veniva adorato e protetto dalla corte imperiale, aveva sovvenzioni enormi e attirava i migliori interpreti.
Tutto ciò rese il balletto pietroburghese il primo a livello internazionale. La sua
evoluzione nella seconda metà dell’Ottocento colpisce per intensità e quantità di avvenimenti. In breve, il merito di salvare il balletto classico dalla completa decadenza va alla compagnia pietroburghese rappresentata dai celebri coreografi Marius Petipa e Lev Ivanov, una pleiade di brillanti ballerine e ballerini e un preparatissimo corpo di ballo. L’arte del balletto classico, però, è difficile da descrivere, da conservare, da fissare. Non per nulla il critico citato all’inizio la paragona ad un mito. Quest’arte bellissima è capace di annientarsi e può essere anche ingrata verso i suoi artisti, proprio per la sua fragilità, le poche possibilità di essere fissata. La sensazione di perfetto equilibrio, l’immagine dell’ideale raggiunto, esistono finché dura lo spettacolo e raramente sorgono durante l’esercizio quotidiano.
Non ci rimane molto del genio di Marius Petipa, e nelle foto le figure delle sue mitiche Aspiccie, Nikie, Aurore, Odette (le protagoniste dei balletti La Fille du pharaon con musica di Cesare Pugni, 1862; La Bayadère con musica di Ludwig Minkus, 1877; La Bella addormentata con musica di Petr Il’ič Čajkovsky; Il Lago dei cigni con musica dello stesso autore, coreografia in collaborazione con Lev Ivanov), interpretate dalle migliori ballerine dell’epoca, sembrano troppo corpulente e addirittura ingombranti. Lo stesso vale per i compositori, già all’ombra dei successi strepitosi delle prime ballerine,
favorite dei nobili e addirittura dei membri della famiglia imperiale. La musica dei loro
balletti finisce negli archivi teatrali o viene suonata raramente durante le serate di
gala. Non esistono saggi approfonditi, né tantomeno libri dedicati ai compositori delle
musiche per balletto, mentre tra questi autori spesso trattati con disprezzo, al
massimo con indulgenza dagli storici, ci furono dei musicisti seri che avrebbero dato un apporto inestimabile all’arte del balletto classico.
Petipa visse una vita molto lunga e iniziò la sua carriera quando presso i teatri imperiali
esisteva la figura del compositore di ruolo, obbligato a scrivere musica per le danze su
commissione del coreografo. Tra i compositori di ruolo dell’epoca di Petipa troviamo l’italiano Cesare Pugni, autore di 312 (sic!) partiture, il ceco Ludwig Minkus, autore tra l’altro dei due celebri balletti Don Chisciotte e La Bayadère. Quasi sempre in
quest’elenco viene inserito il nome di un altro italiano, Riccardo Drigo, la cui
importanza per il balletto russo, per la sua tappa accademica, quella più brillante,
supera quella dei suoi colleghi.
Riccardo Drigo, veneto doc, nacque il 30 giugno del 1846 a Padova in una
buona famiglia: suo padre Silvio Drigo (la Treccani sostiene che il suo nome fosse
Eugenio) era avvocato e sua madre Giovanna Lupati, una nobildonna di Adria, era sorella del patriota Bartolo Lupati e si distinse anche lei per un particolare interesse per la politica. Prima di Riccardo nessun familiare aveva dimostrato un’inclinazione per la musica, ma il figlio dell’avvocato era destinato a scrivere una pagina tutta particolare nella storia. Dimostrò un talento precoce, iniziò a studiare il pianoforte all’età di cinque
anni con l’amico di famiglia Antonio Jorich e già da ragazzino venne ammirato per la
sua tecnica virtuosistica. Continuò gli studi al Conservatorio di Venezia dove studiò
sotto la direzione di Antonio Buzzolla, influenzato dal celebre compositore Gaetano Donizetti. All’età di soli sedici anni salì sul podio in qualità di direttore d’orchestra. Ambiva alla carriera di compositore di opere liriche e presentò Don Pedro di Portogallo su libretto di A. Gasparini al Teatro Nuovo della sua città natale il 26 luglio del 1868. Purtroppo, non riuscì nel suo intento e dovette dedicarsi invece all’attività direttoriale a Padova, Vicenza, Milano, acquisendo un vasto repertorio, da Donizetti a Marchetti; la
critica parlò di lui come di un abile maestro concertatore.
La vita di Drigo cambiò in modo radicale nel 1879 quando arrivò in Italia il direttore dei teatri imperiali pietroburghesi, il barone Karl Karlovič Kister, per scritturare gli artisti per la compagnia lirica italiana della capitale russa. Lo sentì dirigere L’Elisir d’amore e gli offrì un contratto di sei mesi presso l’Opera Italiana Imperiale di San Pietroburgo. “Fui raccomandato come direttore e nell’autunno di quell’anno per la prima volta andai in una Russia lontana e sconosciuta, in seguito diventata la mia seconda patria” (3). La seconda patria, appunto; ecco perché nelle fonti russe accanto al nome di battesimo Riccardo si legge anche quello russo, Ričard
Evgen’evič. Fino al 1884, l’anno dell’abolizione della compagnia italiana a San Pietroburgo, Drigo ne fu direttore e nel 1884 presentò l’opera La moglie rapita. Nel
1886 accaddero altri episodi decisivi: dopo 34 anni di servizio si ritirarono Aleksej
Papkov, direttore del ballo del Teatro Mariinskij, e Ludwig Minkus, compositore di ruolo nello stesso teatro. Dopo il ritiro di Minkus il direttore dei teatri imperiali Ivan
Aleksandrovič Vsevoložskij abolì la carica di compositore di ruolo e offrì a Drigo il posto
di direttore di balli al Teatro Mariinskij, la compagnia più prestigiosa e brillante di tutta la Russia, con un ottimo compenso.
Boris Asaf’ev, rinomato critico musicale e lui stesso autore di balletti divenuti
celebri nell’epoca sovietica, quali La Fontana di Bakhčisaraj e Le Fiamme di Parigi, scrisse: “Drigo fu un musicista grande, serio. Al balletto ci approdò per caso” (4). È vero che all’inizio il direttore dell’opera italiana aveva un’idea molto confusa del balletto classico. Voleva rimanere a Pietroburgo, perché durante i sette anni di permanenza si era affezionato alla Russia. Debuttò il 3 settembre del 1886 dopo aver fatto soltanto due prove e diresse con successo La Figlia del faraone di Pugni, il primo notevole balletto di Petipa, rimasto in cartellone fino al 1928. “Man mano cominciai a conoscere l’arte del balletto e le particolarità della musica ballabile. (…) Gusti e esigenze del pubblico erano abbastanza mediocri. L’unica condizione indispensabile era “la ballabilità“, cioè il ritmo regolare e chiaro, e, evidentemente, la maggior parte dei balletti si rappresentava con una serie di polke, marce e valzer, primitivi, banali e poco legati tra di loro.
Solo quando ebbi sentito Coppélia di Delibes, cominciai a veder chiaro di che
cosa aveva bisogno l’autentico balletto artistico e come doveva essere la musica per
illustrare il dramma plastico e le danze graziose. Nella mia attività ulteriore Coppélia fu sempre la mia stella polare e secondo le mie forze e potenzialità cercai di avvicinarmi a quell’ideale di musica ballabile”,- disse Drigo molti anni dopo, quando dal 1918 al 1920 dettò le sue piccole memorie al collaboratore dell’archivio della direzione dei teatri imperiali D. I. Leškov (5).
Fu un momento cruciale per il corpo di ballo imperiale, alla vigilia di avvenimenti importantissimi non solo per il balletto russo, ma per il destino di quell’arte in Europa e nel mondo. Mancavano quattro anni all’apparizione dell’enciclopedia di danza classica (6), il capolavoro di Čajkovskij e Petipa, la quintessenza dell’accademismo russo. Le idee innovative di Vsevoložskij, che aveva abolito il posto di compositore di ruolo, l’eccezionale vecchiaia di Petipa che proprio in
quel periodo creò i suoi capolavori, il cambiamento dei gusti del pubblico grazie anche ai ballettomani pietroburghesi, stimolarono la fioritura della musica ballabile alla quale si rivolsero Pёtr Il’ič Čajkovskij (che aveva già avuto l’esperienza non del tutto positiva de Il lago dei cigni) e Aleksandr Konstantinovič Glazunov. Tra quei grandi nomi non si deve pdimenticare quello di Riccardo o, meglio, Ričard Evgen’evič Drigo, come ormai veniva chiamato secondo l’antica usanza russa.
Nonostante le nuove tendenze, i problemi da affrontare erano tanti. Prima di tutto, il grande Petipa, che aveva realizzato i suoi lavori più famosi in collaborazione con Čajkovskij e Glazunov, ma allo stesso tempo non era abbastanza sensibile alla musica. Da questo punto di vista era avversario di Lev Ivanov, i cui capolavori, come il secondo quadro de Il Lago dei cigni, poterono nascere soltanto ispirati dalla grande
musica. “Drigo fu costretto a lottare per la musica da ballo. Lavorare con Petipa fu
molto difficile. Non comprendeva la musica fino alla fine, nonostante componesse dei
programmi. Oltre a ciò, ci fu la tremenda resistenza e l’impreparazione assoluta del
corpo di ballo (benché fosse una pleiade di artisti brillanti), e l’impreparazione al
trattamento serio del balletto ”,- notò Boris Asaf’ev (7), un testimone prezioso, perché
ebbe la possibilità di osservare Drigo durante il lavoro e addirittura imparare da lui.
La prima composizione di Drigo per la danza fu il Pas de six, composto da Petipa
per la celebre concittadina del compositore Virginia Zucchi e inserito in uno dei
capolavori del Romanticismo, Esmeralda di Cesare Pugni – Jules Perrot. Quel Pas de six,
diventato immortale ormai, entrò nel repertorio delle grandi prime ballerine e arrivò ai nostri giorni come pezzo di grande effetto nelle serate di gala.
Nel 1887 Lev Ivanov chiese a Drigo di comporre la musica per il suo balletto La
Foret enchantée (La Foresta incantata, prima rappresentazione il 24 marzo (05 aprile) 1887) creato per la cerimonia di consegna dei diplomi alla Scuola Imperiale del
Balletto. La settimana precedente alla prima rappresentazione Ivanov espresse il
desiderio di finire il balletto non con una coda o un galoppo tradizionali, ma con una
czarda. In un giorno Drigo compose la czarda, che conquistò subito la simpatia degli artisti e del pubblico. La sua musica piacque decisamente al pubblico e ai critici: “La musica di questo balletto è eminente dal punto di vista sinfonico e ci mostra un
compositore esperto e dal buon gusto e un direttore eccellente. Vi sono delle belle
melodie, i ritmi non risultano esagerati e tutti ascoltano con piacere dall’inizio alla
fine” ,- dichiarò Il Giornale di San Pietroburgo (8). La Foresta incantata fu trasferita successivamente al Teatro Mariinskij (prima rappresentazione il 15 maggio (01 giugno) 1887) dove il ruolo della protagonista Ilka fu danzato da una grande virtuosa italiana, Emma Bessone.
Nel 1888, periodo dell’”invasione” del Teatro Mariinskij da parte delle virtuose italiane, Petipa creò il balletto La Vestale per la stella di turno, Elena Cornalba che dovette interpretare il ruolo principale dell’Amata (prima rappresentazione 17(29)
febbraio). La musica fu commissionata al critico musicale Mikhail Ivanov; fu il primo
tentativo di balletto sinfonico. La musica di Ivanov risultò difficile se confrontata con le
partiture abitualmente composte per balletti e la Cornalba desiderava qualcosa di
decisamente più “ballabile” per i suoi assoli. Conosceva Drigo dai tempi della Foresta
incantata e si rivolse a lui. Il maestro padovano accontentò la stella italiana scrivendo la musica di due variazioni aggiunte, L’Echo e Le Valse mignonne; compose anche altri due pezzi, L’Amour, variazione per il personaggio di Cupido, e un assolo per la ballerina russa, Maria Goršenkova che interpretò il ruolo di Claudia.
Finita la stagione del 1886/87, Drigo tornò in Italia dove iniziò a comporre il nuovo balletto Le Talisman (Il Talismano). La trama venne presa dalla féerie La Fille de
l’air e elaborata dai librettisti Konstantin Tarnovskij e Marius Petipa. Quest’ultimo fu
anche il coreografo. Nell’enorme partitura del Talismano vennero usate tutte le forme
di musica ballabile. La prima rappresentazione ebbe luogo il 25 gennaio (06 febbraio) del 1889 con la protagonista Elena Cornalba ed ebbe un grande successo. Fu molto apprezzata anche la partitura di Drigo; il celebre pittore Aleksandr Benois la ricordò nelle sue memorie: “Fu la musica semplice e affascinante di Drigo che mi aveva attratto. In realtà, era così riuscita che non riuscivo a smettere di applaudire e sentii doveroso esclamare: “Visto ciò, è un capolavoro!” (9).
Oggi quel balletto appartiene agli archivi musicali, dove sono seppellite pagine di
grande musica; ogni tanto però ai nostri giorni alcuni capolavori sconosciuti si
eseguono ancora: nel 1987 il coreografo Petr Gusev ricostruì per l’étoile del Teatro
Bol’šoj di Mosca Ljudmila Semenjaka il Pas de deux da Il Talismano, che gode di grande
popolarità sia per l’interpretazione impeccabile della ballerina, che per la musica affascinante di Drigo (la variazione maschile è di Cesare Pugni). Il valzer-entrée e la variazione femminile sono incomparabili per grazia, finezza e carattere poetico. Dopo oltre trentatre anni dalla ricostruzione, l’assolo femminile è diventato uno dei pezzi più gettonati nei concorsi in Italia e Europa.
In Italia si ricordarono del Talismano in occasione dei 150 anni dalla nascita del
compositore veneto; il revival con la partecipazione di Carla Fracci e Alessandro Molin fu coreografato dal famoso ballerino canadese Paul Chalmer con l’uso delle formule usate nei balletti di Petipa e Ivanov. Il balletto ebbe due rappresentazioni al Teatro Verdi di Padova, il 14 e il 16 marzo del 1997, alle quali seguirono tre repliche al Teatro Filarmonico di Verona.
“Dal momento dell’allestimento del Talismano i coreografi Petipa ed Ivanov mi
commissionarono parecchie volte di comporre alcuni pezzi e variazioni da inserire nei vecchi balletti.(…) Con il passare del tempo questi singolari pezzi aggiunti a molti balletti si accumularono e la loro quantità arrivò a più’ di ottanta pezzi” (10),- constatò Drigo.
Dal 1889 iniziò una nuova tappa dell’attività di Drigo, soprattutto come direttore d’orchestra. Alla fine del 1889 fu incaricato di dirigere la prima de La bella
addormentata nel bosco, conobbe Čajkovskij e da quel momento diventò suo amico,
suo collaboratore, suo fedele e perfetto interprete. Diresse La Bella addormentata al
Teatro Mariinskij centonovantuno volte.
Rimase primo direttore del balletto per più di quarant’anni. “L’attività di Ričard
Evgen’evič come direttore d’orchestra è visibile a tutti, e se qualche volta succedevano alcune scabrosità nell’esecuzione dell’orchestra, modello del Teatro Mariinskij, queste erano dovute proprio all’assenza involontaria di Drigo rimasto bloccato durante la guerra in Italia (si tratta della prima guerra mondiale del 1914-1918 – I.S.). Delle qualità di Drigo, direttore sensibile ed esperto, basta parlare con qualsiasi ballerina: ognuna di loro dirà che può ballare con la sicurezza necessaria soltanto quando vede sul podio Drigo” (11) scrisse lo sconosciuto osservatore teatrale D. L. in un piccolo articolo pubblicato nel giornaletto “Biryuč” nel 1919, durante il quarantesimo anno di servizio di Drigo presso il balletto russo.
“Che cosa amavo di più in Drigo? La sua interpretazione dello Schiaccianoci.
Drigo comprese profondamente l’importanza della musica sinfonica del primo atto dello Schiaccianoci”(12), – testimoniò Boris Asaf’ev. Dal momento della prima nel 1892 Drigo diresse Lo Schiaccianoci senza mai essere sostituito per trent’anni. Il suo nome è legato per sempre alle “prime” storiche del Lago dei cigni (rifacimento musicale e coreografico, 1895) di Čajkovskij e di tre balletti di Glazunov: “Rajmonda” (1898), Le Ruses d’Amour (1900), Les Saisons (1900). Quest’ultimo ammise di aver imparato alcune cose da Drigo e Petipa e di esserne grato. Asaf’ev considerava Drigo l’interprete perfetto delle partiture čajkovskiane: “Fu il primo a comprendere il senso del movimento nuovo iniziato con Čajkovskij. Senza conoscere le nostre forme sinfoniche attuali, Drigo in pratica aspirò a realizzarle nell’allestimento e nell’esecuzione dei balletti čajkovskiani”(13). I direttori della nuova epoca sovietica arrivati dopo Drigo,
sicuramente, devono a lui molto per quanto riguarda le tradizioni interpretative delle
partiture čajkovskiane.
Ma prima di mettersi all’opera per creare una versione musicale del Lago dei
cigni, scritto da Čajkovskij molti anni prima, nel 1877, e parecchio dimenticato a causa
della coreografia e messa in scena poco efficaci, Drigo compose due partiture: La Flute magique (Il Flauto magico), 1893, e Le Réveil de Flore (Il Risveglio di Flora), 1894,
destinate ad essere due successi.
Come nel caso della Foresta incantata, Il Flauto magico fu scritto per la Scuola
di Balletto Imperiale e coreografato da Lev Ivanov. Nel ruolo del protagonista Luc si
esibì l’appena undicenne Mikhail Fokine, il futuro grande coreografo e riformatore del
teatro di balletto. Il grande successo ottenuto dal Flauto magico (prima
rappresentazione il 23 gennaio (04 febbraio) 1893) gli permise di essere trasferito
quattro mesi dopo sul palcoscenico del Teatro Mariinskij. Anche in questo caso il
parere della critica fu altamente lodevole: “Il Signor Drigo stupisce l’ascoltatore per la
sua capacità di creare una varietà quasi illimitata di ritmi molto adatti alla danza e belle melodie, e da una ricca, quasi sinfonica, orchestrazione” (14).
Il Risveglio di Flora (prima rappresentazione il 28 luglio (08 agosto) 1894), balletto anacreontico in un atto, fu considerato dai suoi creatori “una sciocchezza”, “un giocattolo”. Certo, non poteva essere paragonato ai capolavori di Čajkovskij. Tuttavia, aveva un proprio valore grazie alle coreografie di Petipa e Ivanov e alla
musica di Drigo che conteneva alcune pagine di grande fascino. Il balletto anacreontico fu creato in occasione del matrimonio della gran duchessa Ksnija Aleksandrovna e il granduca Aleksandr Mikhajlovič e rappresentato al Palazzo Imperiale di Peterhof, la più sontuosa residenza estiva della dinastia Romanov. Era presente tutta la corte. Nel ruolo del titolo si esibì la prima ballerina assoluta del Mariinskij Matil’da Feliksovna Kšesinskaja. Per questa creazione l’imperatore Aleksandr Terzo concesse al compositore l’Ordine di S. Anna. Simile al Flauto magico, Il Risveglio di Flora fu trasferito sul palcoscenico del Teatro Mariinskij e nei ruoli principali si esibirono le più grandi stelle dell’epoca: oltre alla Kšesinskaja, Tamara Karsavina, Agrippina Vaganova, Anna Pavlova. L’ultima amò particolarmente il piccolo balletto e lo inserì nelle sue numerose tournée all’estero. Tra gli interpreti ci furono anche due futuri coreografi, Mikhail Fokine e Bronislava Nižinskaja. I contemporanei chiamarono ll Risveglio di Flora “una piccola spilla preziosa” e parlarono della “ciliegina sulla torta nuziale” che altro non era che un grazioso capretto (o capretta) tutto bianco.
Il balletto venne conservato in repertorio fino al 1919 quando, insieme agli altri
capolavori dei coreografia dell’epoca zarista, venne rirenuto non più adatto ai nuovi
tempi. Per molti anni si pensò che “la sciocchezza” fosse caduta nel dimenticatoio per sempre, ma non andò così. Nel 2007 Il Risveglio di Flora è stato ricostruito sul
palcoscenico del “suo” teatro, Mariinskij, appunto. Il manoscritto della partitura
originale era conservato presso la Biblioteca Centrale Musicale del teatro, il testo
coreografico di Petipa e Ivanov ricostruito da Sergej Vikharev grazie alla notazione di
Nikolaj Sergeev secondo il sistema di Stepanov presso la Harvard Theatre Collection e con l’uso del répétiteur per violino in uso alla fine dell’Ottocento. Scene e costumi furono ricostruiti con l’uso delle foto e gli schizzi di Mikhail Bočarov e Evgenij Ponomarёv conservati presso Il Museo statale del teatro musicale e l’arte della musica, i costumi con l’uso degli schizzi di quest’ultimo conservati alla Biblioteca Teatrale di San Pietroburgo.
Vista la grande esperienza del compositore padovano e i suoi successi, non fu
un caso che fosse proprio Drigo a partecipare alla revisione del Lago dei cigni e creare la nuova versione musicale e orchestrale di questo balletto, il primo tentativo del celebre compositore russo nell’ambito della musica ballabile (1877) rimasto incompreso e sottovalutato sia per l’impreparazione del pubblico che per l’incapacità del coreografo di turno Vatslav Reisinger.
Il rifacimento di Marius Petipa e Riccardo Drigo può essere valutato da due
punti di vista. Senza dubbio, nonostante Drigo avesse trattato la partitura del Lago dei cigni con delicatezza, “con paura, per non toccare la personalità del geniale maestro russo”, come scrisse lui stesso (15), molti episodi di grande importanza furono
soppressi e altri spostati rispetto all’ordine originale. Non mancarono opinioni negative
sul lavoro di Drigo che addirittura venne definito come “un peccato” rispetto alla
partitura originale di Čajkovskij. Al contempo tutti gli studiosi ammettono che solo grazie al rifacimento musicale del compositore italiano e quello coreografico di Marius Petipa e Lev Ivanov Il Lago dei cigni conquistò il diritto di esistere come spettacolo e non solo come partitura.
Alcuni cambiamenti fatti da Drigo contraddissero la partitura čajkovskiana in
modo decisivo, come ad esempio il valzer di apertura, che fu spostato al centro del
primo quadro; il Pas de deux di Siegfrid e la Contadina diventato il famoso e brillante
Pas de deux “nero” del terzo quadro. Altri cambiamenti, invece, come l’ordine dei
pezzi de “la suite dei cigni” nel celeberrimo secondo quadro, furono talmente ben
riusciti che fu perfino dimenticato l’ordine originale. Il Pas d’action di Odette e Siegfrid fu spostato subito dopo il valzer dei cigni; la variazione della protagonista e le altre
danze furono eseguite dopo l’adagio centrale che Drigo e l’autore della coreografia dei quadri dei cigni Lev Ivanov considerarono il culmine lirico del secondo quadro.
Le cose discutibili sarebbero state il Pas de deux “nero”, che sostituì il Pas de six
ideato da Čajkovskij, il valzer dei cigni bianchi e neri e il taglio dell’episodio della
tempesta (entrambi pezzi del quarto quadro). La musica del Pas de deux diventato celeberrimo come quello di Siegrfrid e Odille del terzo quadro non corrisponde totalmente al carattere dell’episodio. La musica, energica e brillante, poteva servire bene per creare l’immagine di Odille seduttrice, regina del ballo. Tuttavia in essa mancava l’elemento drammatico necessario. La variazione composta da Čajkovskij venne sostituita dal pezzo per pianoforte op. 72 N 12 L’Espiègle (La Birichina), non sufficientemente espressivo per il carattere di Odille. Nonostante questi problemi irrisolti, quel Pas de deux fu il pezzo più splendido dello spettacolo e finora rimane uno dei capolavori assoluti della danza classica.
La Danza dei piccoli cigni in b-moll fu sostituita da Drigo con i pezzi Valse
bluette (curiosa la traduzione in russo del suo nome francese, Вальс-безделушка
(Valzer Ninnolo) e Un poco di Chopin, sempre provenienti dall’op. 72 di Čajkovskij
numeri 11 e 15. Alcuni studiosi sostengono che la mancanza di un valzer nell’ultimo
quadro significasse il mondo distrutto e la morte vicina. Così Drigo seguì la logica
formale, perché in tutti i quadri precedenti c’era un valzer. Il risultato artistico, però, fu
ben riuscito, perché Lev Ivanov creò per la nuova musica orchestrata da Drigo una
delle sue composizioni più originali e commoventi. La musica di Čajkovskij riproposta da Drigo possedeva delle qualità suggestive inferiori alla Danza dei piccoli cigni originale, ma ispirato proprio da questo pezzo Lev Ivanov compose il celebre valzer dei cigni bianchi e neri.
Per noi una sola cosa è importante. Nonostante gli eventuali errori inevitabili
quando si tratta di un lavoro così impegnativo, Drigo compì una missione storica: una partitura bella, ma ingombrante e poco adatta ad essere coreografata fu trasformata di fatto in un fenomeno del teatro vivo. Il rifacimento di Drigo, Petipa ed Ivanov diventò il punto di riferimento di tutte le future interpretazioni del Lago dei cigni.
Nel 1896 Drigo fu chiamato a comporre la partitura del balletto La Perle (La
Perla) per le celebrazioni d’incoronazione dell’ultimo imperatore russo Nicola II. La
prima rappresentazione ebbe luogo il 17 (29) maggio del 1896 al Teatro Bol’šoj di
Mosca. Il compositore padovano volle dedicare la partitura alla giovane imperatrice Aleksandra Fёdorovna ma l’impresa si rivelò non proprio facile. Tale desiderio fu esaudito dopo una lunga corrispondenza col Ministro della Corte Imperiale che giudicò la persona, la vita e la musica di Drigo degne di questo onore.
Nel 1899 Marius Petipa offrì a Drigo una bella sceneggiatura per un balletto
nuovo. “Il soggetto dell’Arlecchinata basato sulle immagini del carnevale italiano era
caro al mio cuore e mi ispirò da subito.(…) Musicando L’Arlecchinata facevo delle
passeggiate quotidiane lungo il fiume Neva, mi riposavo sulle panchine di pietra
davanti al Giardino Estivo. Proprio là mi venne l’idea di comporre la Serenata con
l’accompagnamento dei mandolini, la composi mentalmente e dopo essere tornato a casa, la scrissi quasi senza correzioni. Certamente allora non potevo immaginare
nemmeno una piccola parte del successo al quale era destinata quell’opera e che la
rese talmente popolare da entrare nel repertorio degli organetti. La partitura dell’Arlecchinata fu terminata e orchestrata nel gennaio del 1900 e rappresentata per la
prima volta il 10 febbraio dello stesso anno sul palcoscenico del Teatro Imperiale
dell’Ermitage con M. F. Kšesinskaja nel ruolo di Colombina. Il balletto ebbe il più
grande successo tra tutte le mie opere”(16) raccontò il compositore stesso. L’Harlequinade (L’Arlecchinata) chiamata anche Les Millions d’Harlequin, uno dei
capolavori di Petipa nel genere comico lirico, è ancora oggi in cartellone. Il grande
merito di questo va a Drigo, la cui musica è splendida, vivace, brillante, piena di senso
d’umorismo, fantasia e fuoco. Tra i pezzi più famosi oltre alla celeberrima Serenata
sono La Valse des Alouettes (ll Valzer delle Allodole), La Réconciliation, Polka de
caractère, Pizzicato (La Riconciliazione. Polka di carattere. Pizzicato), l’Andante con il violino solo e, soprattutto, La Sérénade (La Serenata). Nella musica dell’Andante si
sente l’eco della grande tradizione di usare il violino come la voce dell’anima del
personaggio (lo strumento accompagna sempre Aurora ovvero l’Intermezzo con il
violino solo ne La bella addormentata di Čajkovskij). Nella partitura dell’Arlecchinata
Drigo espresse il suo magico dono di creare delle bellissime melodie, da vero italiano,
in una felice combinazione con la ballabilità. La musica di Drigo venne molto
apprezzata dai suoi contemporanei russi. Ad esempio, Nikolaj Andreevič Rimskij-Korsakov in una lettera indirizzata al critico musicale Sergej Nikolaevič Kruglikov scrisse che nella musica del maestro italiano “la melodia è moderna e l’orchestrazione è abbastanza bella e piccante” (17). Le protagoniste della prima, rispettivamente nei ruoli di Colombine e Pierrette furono Matil’da Kšesinskaja e Ol’ga Preobraženskaja.
Nel 1902 Drigo e alcuni ballerini del Mariinskij furono invitati dal direttore
dell’Opéra di Montecarlo a creare un balletto sul libretto del principe Alberto I. La Cote d’Azur (La Costa Azzurra), balletto comico in due atti, debuttò il 30 marzo del 1902 alla Salle Garnier nella coreografia di Aleksandr Širjaev con Olga Preobraženskaja in qualità di prima ballerina.
“La mia ultima composizione ballabile fu La Romane d’un Bouton de rose et
d’un Papillon (La Storia d’amore del Bocciolo di rosa e della Farfalla) per il Teatro
Imperiale dell’Ermitage nel 1904. Lo spettacolo però fu rappresentato soltanto nel 1919, in condizioni molto sfavorevoli”(18).
Da non dimenticare il fatto che nel 1915 in un altro revival de Le Corsaire (Il
Corsaro) per il celebre Pas de deux di Medora e Conrad furono usati due brani scritti da Drigo: il Notturno Sogni di primavera e la coda appositamente composta. Gli ultimi anni passati in Russia furono però amari. Dopo l’uscita da direttore dei teatri imperiali di Sergej Mikhajlovič Volkonskij, Petipa cadde in disgrazia e visse incompreso e in solitudine. Questo toccò anche Drigo come collaboratore preferito del vecchio coreografo.
“Nell’estate del 1914 la guerra in Europa non mi diede la possibilità di tornare
in Russia entro il termine previsto e costretto a rimanere in Italia, ero molto
preoccupato perché il secondo direttore d’orchestra a Pietroburgo non c’era (…). Con tutta la mia anima bramavo di tornare a Pietroburgo ed in ogni lettera chiedevo aiuto alla Direzione per farmi tornare anche aggirando l’Europa, ma ricevetti soltanto il
consiglio indifferente di rimanere in Italia(…). Tornai in Russia soltanto nel 1916 e, nonostante quattro anni estremamente
difficili, fino al 1920, vissuti a Pietroburgo senza mai uscirne fuori, lasciai la Russia con
un grande rammarico e costretto a farlo soltanto dalle circostanze estreme”(19) dettò
Drigo a Leškov poco prima di partire per sempre.
Le circostanze estreme furono la guerra civile, gli inverni rigidi, il cibo razionato,
mille difficoltà quotidiane, ma anche la vecchiaia e le malattie. Il compositore fu
sfrattato dal Grand Hotel di San Pietroburgo dove aveva preso residenza trent’anni
prima; fu costretto, munito da una tessera, a fare la fila per avere una porzione di pane
e ad attraversare la città innevata trascinando la slitta. Il suo “compagno” in queste drammatiche avventure fu il grande compositore russo Aleksandr Glazunov. Quando finalmente il ritorno in patria fu possibile, la direzione dei teatri accademici che sostituì nell’epoca sovietica quella dei teatri imperiali, nonostante la situazione difficile, organizzò una festa in onore del vecchio maestro che aveva lavorato in Russia per più di quarant’anni. Il 25 aprile del 1920 al Mariinskij ebbe luogo una serata d’addio in onore di Drigo. Per questa occasione Fёdor Lopukhov presentò la sua versione dell’ultimo balletto di Petipa sotto il nome di Le conte du bouton de rose. Il celebre basso russo Fedor Šaljapin lesse il commovente discorso d’addio in russo e italiano. Dopo una vita intera passata in Russia, a Drigo fu permesso di portare con sé solo sessanta chili di roba, dovette lasciare a San Pietroburgo tutti i suoi averi. Arrivò in Italia, a Brindisi, dopo due mesi di viaggio sulla nave, via Odessa e Costantinopoli, usando le sue partiture come cuscino.
Tornato in patria, Drigo non si trovò in condizioni migliori. Il livello del balletto
italiano era molto inferiore a quello russo, fatto che l’espertissimo direttore e
compositore non poté non capire. Continuò la sua attività di direttore d’orchestra
presso i teatri di Venezia e al “Manzoni” di Milano. Nel 1929 presentò a Padova l’opera
Il Garofano bianco su libretto di A. Golisciani tratto da un racconto di Alphonse
Daudet. Il 1 ottobre del 1930 morì nella sua città natale quasi sconosciuto.
Vita, pensieri, talento e creazioni di Riccardo o, meglio, Ričard Evgen’evič Drigo
appartennero alla lontana Russia, la sua seconda patria che per quarant’anni lo vide
testimone e partecipe di grandissimi eventi nel mondo del balletto. Ma mentre la sua
attività come direttore d’orchestra venne apprezzata nel modo dovuto, quella di
compositore di grande talento rimase nell’ombra. Perché? Ci risponde in maniera un po’ familiare l’anonimo D. L. “I lavori di Drigo erano notati meno e non si facevano
notare, perché, anche se il pubblico era contento della musica bella e melodiosa e gli
artisti erano entusiasti di ballarla, i critici specialisti del balletto mai apprezzavano
debitamente la bellezza dell’arte di Drigo, mentre i seri critici musicali erano poco
indulgenti verso il balletto”(20).
Drigo visse nell’epoca migliore del balletto russo: vide il tramonto del Romanticismo e l’affermazione dell’accademismo di Petipa, fu testimone dell’abolizione del compositore di ruolo e della conquista dalla musica ballabile dei nuovi diritti grazie alle partiture di Čajkovskij e di Glazunov, scrisse lui stesso delle affascinanti musiche ballabili. Fu in grado di comprendere le novità e di lottare per loro, discutendo con i fautori delle tradizioni arretrate. Fu destinato a rimanere all’ombra dei grandi, ma, probabilmente, tra le scoperte della Bella addormentata e Rajmonda non si trovano pagine così scintillanti e umoristiche come quelle dell’Arlecchinata e, sicuramente, senza Drigo Il Lago dei cigni non sarebbe nato come spettacolo e la tradizione interpretativa dei balletti di Čajkovskij non avrebbe avuto radici così profonde. Stravinskij chiamò Drigo “il Čajkovskij italiano”, Asaf’ev “l’amico
più sincero del balletto russo”. Noi aggiungiamo: ne fu un protagonista indiscusso.
NOTE
Tutte le citazioni sono prese dalle fonti russe e tradotte dall’autrice dell’articolo. Sono
tradotti anche i nomi delle fonti. Nella stesura del testo è stato consultato l’articolo di
Concetta Lo Iacono in Dizionario Biografico degli italiani – Volume 41 (1992).
1)V. Gaevskij. “La fanciulla di Turgenev dal XXI secolo”. “Osservatore moscovita” N. 10, p. 44.
2) Dall’intervista sullo stato del balletto pietroburghese ed estero”, 2 dicembre, Marius Petipa. Materiali, memorie, articoli. Edizioni “Arte”, Leningrado, 1971, p.
3) “Dalle memorie di Riccardo Drigo”. Pubblicazione di Ju. Slonimskij. “La Vita
musicale, 1973, N 23, p. 15.
4) B. Asaf’ev. “Memorie di Čajkovskij”. Capitolo “Dell’interpretazione dei balletti di
Čajkovskij”. Mosca-Leningrado, 1948, p. 96.“Dalle memorie di Riccardo Drigo”, p. 15.
5) L’espressione di Ju. Slonimskij. Citazione presa da M. Konstantinova. “La bella
addormentata nel bosco”. Edizioni “Arte”, Mosca, 1990, p. 48.
6) B. Asaf’ev. Op. cit., p. 97.
7) Cit. in D. Krivošapka. “Signor Riccardo, ovvero il Baciato dalla fortuna”. Vita
Musicale, Mosca, 2018, n. 5.
8) Cit. in „Riccardo Drigo“. https://it.qwe.wiki
8) “Dalle memorie di Riccarso Drigo”, cit., p.15
10)“Birjuč”, Pietrogrado, 1919, N 17-18, p. 301.
11) B. Asaf’ev. Op. cit., p. 97.
12) Cit. in “Riccardo Drigo”. https://it.qwe.wiki
13) B. Asaf’ev. “Della musica ballabile di P. I. Čajkovskij. Relazione alla 3-a sessione
scientifica dedicata alla memoria di P. I. Čajkovskij, 21 novembre 1944.
Stenogramma non corretto si conserva al Museo di Čajkovskij a Klin.
14) Citazione presa da “Dalle memorie di Riccardo Drigo”, pubblicazione di Ju. Slonimskij, p. 16.
15)“Dalle memorie di Riccardo Drigo”, cit., p. 16.
16) Ivi, p. 16.
17) Citazione tratta dalla citata pibblicazione di Ju. Slonimskij “Dalle memorie di
Riccardo Drigo”, p. 16.
18)“Dalle memorie di Riccardo Drigo”, p. 16.
19) “Dalle memorie di Riccardo Drigo”, p. 16.
20) “Birjuč”, Pietrogrado, 1919, N 17-18, p. 301.